La commissione di massimo scoperto si atteggia sostanzialmente come un interesse aggiuntivo sulle somme utilizzate a credito dai clienti delle banche.
Spesso è storicamente identificata o confusa con la c.d. provvigione di conto, vale a dire con il compenso, generalmente fissato in misura fissa, preteso dalla banca quale corrispettivo per la tenuta a disposizione per un certo periodo in favore del cliente di una somma, indipendentemente dall’utilizzazione del credito; secondo diversa interpretazione, costituirebbe il rischio della mancata remunerazione della somma stessa in caso di non utilizzo del credito nonché il costo della liquidità impegnata dalla banca in favore del cliente.
Nella pratica la cms ha acquisito la natura giuridica di vero e proprio interesse aggiuntivo. Infatti, essa, essendo calcolata sulla somma utilizzata dal cliente e solo se utilizzata, rappresenta, al pari degli interessi, il corrispettivo che riceve la banca per il credito effettivamente erogato, con la sola differenza che mentre gli interessi vengono conteggiati in misura aritmetica in base alla quantità e al tempo di utilizzazione delle somme prese in prestito, la commissione di massimo scoperto è conteggiata una sola volta in misura percentuale sulla somma massima raggiunta dal debito nel periodo di riferimento (solitamente il trimestre).
Ne deriva la sottoposizione della clausola di C.M.S. alla medesima disciplina prevista per la clausola d’interessi.
Quale interesse aggiuntivo che si somma a quello come tale indicato in contratto, la C.M.S. deve avere la forma scritta, non può essere modificata unilateralmente dalla banca se non in base ad una clausola approvata specificamente dal cliente, non può essere indicata con il rinvio agli usi, non può essere più sfavorevole per il cliente rispetto a quella pubblicizzata, va considerata non solo nel calcolo del TAEG (tasso annuo effettivo globale ) ma anche del TEGM (tasso effettivo globale medio), non può essere capitalizzata se non alle condizioni di cui all’art. 1283 c.c. e a quelle della delibera CICR 9/2/2000 (per le clausole di capitalizzazione della C.S.M. inserite nei contratti stipulati dal 22/4/2000 in poi).
Il regime delle nullità delle clausole di C.M.S. è quindi lo stesso delle clausole degli interessi.
Una ricorrente causa di nullità della clausola di C.M.S. è quella per cui la clausola ha forma scritta, nel senso che è indicata la misura percentuale, ma nulla dice in ordine al criterio di calcolo. In tal caso la clausola è nulla in base ai principi generali codicistici (combinata previsione degli artt. 1418 comma 2 e 1346 c.c.) perché ha un oggetto che manca dei requisiti essenziali della determinatezza o della determinabilità. La conseguenza è che non va calcolata alcuna somma a titolo di C.M.S. a danno del cliente.